Quando lo sentì mettersi in moto, Pietro capì che forse non stava sognando.
Quel furgone nuovo di zecca, appena giunto dall’America, era lì per lui, per il suo forno, per davvero.
Un regalo speciale da una persona speciale: suo fratello Angelo, il maggiore; lo stesso che 15 anni prima lo aveva preso e lanciato in aria per l’ultima volta prima di attraversare l’oceano in cerca di fortuna insieme a Coletto, Minguccio e Peppino, gli altri suoi fratelli.
“Tu resta qui – gli aveva detto – e tieni alto il nome dei Di Leo”.
E così lui aveva fatto, trasformando quel piccolo forno di paese in un’impresa di belle speranze. E se i suoi fratelli erano riusciti a farsi un nome nel nuovo mondo, Pietro aveva portato quello della sua famiglia ancora più in alto, sull’insegna all’ingresso della nuova sede aziendale. Ora poteva fare di più. Riprodotto sulla fiancata del nuovo mezzo, il marchio Di Leo sarebbe presto uscito dai confini del paese, per distribuire i prodotti appena sfornati e dimostrare a tutti che anche restando nella propria terra si può trovare l’America.
Fu invece l’America che venne da lui, sette anni più tardi. Nel ’43 le truppe di occupazione alleate portarono la cioccolata, la libertà e in seguito anche la ricchezza. In cambio, però, vollero il suo furgone, requisito dall’esercito USA e mai restituito. Pietro ne acquistò presto un altro e poi un altro ancora più grande. Ma non era lo stesso. Niente avrebbe mai sostituito il primo e più importante dei suoi trofei: forse nemmeno la copia d’epoca che suo nipote Pietro ha voluto acquistare per continuare a portare tra la gente il marchio Di Leo e la qualità dei suoi prodotti da forno. Ci piace però pensare che possa vederlo, magari insieme a tutto ciò che oggi la sua azienda è diventata. Se è così, saremo riusciti a strappargli qualcosa che somiglia a un sorriso.
A Pietro Di Leo